Riflessioni, storie e proverbi

Il Filo Rosso del Destino



Wei era un uomo che, rimasto orfano di entrambi i genitori in tenera età, desiderava sposarsi e avere una grande famiglia; nonostante i suoi sforzi era giunto all'età adulta senza essere riuscito a trovare una donna che volesse diventare sua moglie.

Durante un viaggio Wei incontrò, sui gradini di un tempio, un anziano appoggiato con la schiena a un sacco che stava consultando un libro. Wei chiese all'uomo cosa stesse leggendo; l'anziano rispose di essere il Dio dei matrimoni e, dopo aver guardato il libro, disse a Wei che sua moglie ora era una bimba di tre anni e che avrebbe dovuto attendere altri quattordici anni prima di conoscerla. Wei, deluso dalla risposta, chiese cosa contenesse il sacco; l'uomo rispose che lì dentro c'era del filo rosso che serviva per legare i piedi di mariti e mogli. Quel filo è invisibile e impossibile da tagliare, per cui una volta che due persone sono legate tra loro saranno destinate a sposarsi indipendentemente dai loro comportamenti o dagli eventi che vivranno. Queste parole non convinsero Wei che, per sentirsi libero di scegliere da solo la donna da sposare, ordinò al suo servo di uccidere la bambina destinata a diventare sua moglie. Il servo pugnalò la bambina ma non la uccise: riuscì soltanto a ferirla alla testa e Wei, dopo quegli eventi, continuò la sua solita vita alla ricerca della moglie.

Quattordici anni dopo Wei, ancora celibe, conobbe una bellissima ragazza diciassettenne proveniente da una famiglia agiata e si sposò con lei. La ragazza portava sempre una pezzuola sulla fronte e Wei, dopo molti anni, le chiese per quale motivo non se la togliesse nemmeno per lavarsi. La donna, in lacrime, raccontò che quando aveva tre anni fu accoltellata da un uomo e che le rimase una cicatrice sulla fronte; per vergogna la nascondeva con la pezzuola. A quelle parole Wei, ricordandosi dell'incontro con il Dio dei matrimoni e dell'ordine che dette al suo servo, confidò alla donna di essere stato lui a tentare di ucciderla. Una volta che Wei e la moglie furono a conoscenza della storia si amarono più di prima e vissero sereni e felici.





Il Racconto della Giara Rotta



C’era una volta, in India, un buon padrone che incaricò il suo servitore di riempire ogni giorno le sue cisterne d’acqua.
Il servo, allora, comprò due grosse giare e, come è consuetudine in quel paese, si legò una corda intorno alla testa e sulle spalle ai due lati per sostenere il peso delle due giare.
Ogni giorno, con molta fatica, andava alla fontana più vicina, riempiva le giare e trasportava l’acqua per riempire le cisterne.
Era felice del suo lavoro e del suo padrone!
Un giorno una delle due giare comincio a filarsi e, da quel momento, l’acqua che si versava dalla giara incrinata cadeva per la strada, così che metà della sua quantità si perdeva ad ogni viaggio.
Per questo motivo il servo era costretto a fare due volte il percorso per riempire la cisterna.
Un giorno la giara incrinata disse (in quel tempo le giare parlavano):
“Compagno, voglio chiederti un favore: buttami, sostituiscimi.
Pensa: io sono motivo di stanchezza per te.
Dalla mia incrinatura esce tanta acqua che tu sei costretto a recuperare facendo un altro viaggio!”
Il servo rispose:
“Ma io non mi lamento!”
“E’ vero!” riprese la giara. “Ma io si. Tu sei gentile con me tenendomi ancora così.
Rompimi!
E’ giunto il mio momento di essere buttata, non servo più a niente.”
Il servo prese la giara rotta con molta cura, salì su un piccolo monte e rivolgendo lo sguardo al di sotto le disse:
“Guarda la strada che separa la fontana dalla casa del mio padrone.
Vedi, da un lato è tutto verde e pieno di fiori, dall’altro e tutto secco ed arido.”
“E’ vero” disse le giara; “cosa è successo?”
Il servo spiegò:
“E’ così perché, quando mi sono accorto che tu lasciavi cader l’acqua, ho cominciato a pensare: questa può essermi utile anche così.
Perciò, ho piantato dei semi lungo il percorso che bagnavi e tu, ogni giorno, con l’acqua che cadeva, pensavi ad innaffiarli.
I semi hanno germogliato e adesso ecco: da questo lato ho un giardino ricco e prosperoso senza nessuno sforzo in più, perché tu li hai innaffiati ogni giorno.”
“Ma che meraviglia!” disse la giara; “ma io sono un impiccio nella tua vita, perché il padrone si rende conto della stanchezza che ti costringo a sopportare nel fare due viaggi al giorno.”
Il servo disse:
“Ma io piaccio al mio padrone e lui mi ama ancora di più perché tutti i giorni, quando gli preparo da mangiare, vengo da questa parte de giardino, raccolgo alcuni dei fiori, che tu hai innaffiato, li metto nel vaso per fare più bello il tavolo dove mangia il mio padrone.
E lui, davanti al tavolo fiorito, è molto felice.
Sicché tu hai un’utilità indiscutibile”
La giara rimase zitta ed il servo continuò il suo lavoro.





Morire Lentamente                                               




Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i"
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
chi e' infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita
di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio,
chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo
di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.

Soltanto l'ardente Fede porterà al raggiungimento

di una splendida felicità.


P. Neruda






I giorni della merla                                                         



La leggenda dei tre giorni della merla si perde nell'onda del tempo. 

Sappiamo solo che erano gli ultimi tre giorni di gennaio, il 29, 30 e 31, e in quei dì capitò a Milano un inverno molto rigido. 

La neve aveva steso un candido tappeto su tutte le strade e i tetti della città.

I protagonisti di questa storia sono un merlo, una merla e i loro tre figlioletti. 
Erano venuti in città sul finire dell'estate e avevano sistemato il loro rifugio su un alto albero nel cortile di un palazzo situato in Porta Nuova. 
Poi, per l'inverno, avevano trovato casa sotto una gronda al riparo dalla neve che in quell'anno era particolarmente abbondante. 

Il gelo rendeva difficile trovare le provvigioni per sfamarsi; il merlo volava da mattina a sera in cerca di becchime per la sua famiglia e perlustrava invano tutti i giardini, i cortili e i balconi dei dintorni.

La neve copriva ogni briciola.



Un giorno il merlo decise di volare ai confini di quella nevicata, per trovare un rifugio più mite per la sua famiglia. 
Intanto continuava a nevicare. 

La merla, per proteggere i merlottini intirizziti dal freddo, spostò il nido su un tetto vicino, dove fumava un comignolo da cui proveniva un po' di tepore. 

Tre giorni durò il freddo. 

E tre giorni stette via il merlo. 

Quando tornò indietro, quasi non riconosceva più la consorte e i figlioletti: erano diventati tutti neri per il fumo che emanava il camino. 

Nel primo dì di febbraio comparve finalmente un pallido sole e uscirono tutti dal nido invernale; anche il capofamiglia si era scurito a contatto con la fuliggine. 

Da allora i merli nacquero tutti neri; i merli bianchi diventarono un'eccezione di favola. 

Gli ultimi tre giorni di gennaio, di solito i più freddi, furono detti i «trii dì de la merla» per ricordare l'avventura di questa famigliola di merli.




ACCADUTO REALMENTE ALL'UNIVERSITÀ DI GENOVA 
CORSO DI LAUREA IN INGEGNERIA                                                                 
 


Un professore di termodinamica ha assegnato un'esercitazione a casa agli studenti del suo corso di laurea. Il compito consisteva in una domanda:
"L'inferno è esotermico (libera calore) o endotermico (assorbe calore)? 
Sostenete la risposta con delle prove".



La maggior parte degli studenti ha cercato di dimostrare le proprie convinzioni citando la legge di Boyle (un gas si raffredda quando si espande e si riscalda quando viene compresso), o alcune sue varianti.

Uno di loro, tuttavia, ha scritto quanto segue.


"Innanzitutto, dobbiamo sapere come cambia nel tempo la massa dell'inferno. E quindi abbiamo bisogno di stabilire i tassi di entrata e uscita dall'inferno delle anime. Credo che possiamo tranquillamente assumere che, quando un'anima entra all'inferno, non è destinata ad uscirne. Quindi, nessun'anima esce. Per quanto riguarda il numero di anime che fanno il loro ingresso all'inferno, prendiamo in considerazione le diverse religioni attualmente esistenti al mondo. Un numero significativo di esse sostiene che se non sei un membro di quella stessa religione andrai all''inferno. Siccome di queste religioni ce n'è più d'una, e abbracciano una sola fede per volta, possiamo dedurne che tutte le persone e tutte le anime finiscono all'inferno. Dunque, stanti gli attuali tassi di natalità e mortalità della popolazione mondiale, possiamo attenderci una crescita esponenziale del numero di anime presenti all'inferno. Ora rivolgiamo l'attenzione al tasso di espansione dell'inferno: la legge di Boyle afferma che, per mantenere stabile la temperatura e la pressione dentro l'inferno, il volume dello stesso deve crescere proporzionalmente all'ingresso delle anime. Questo ci dà due possibilità:
1) se l'inferno si espande ad una velocità minore di quella dell'ingresso delle anime, allora temperature e pressione dell'inferno saranno destinate a crescere, fino a farlo esplodere;
2) naturalmente, se l'inferno si espande più velocemente del tasso d'ingresso delle anime, allora temperatura e pressione scenderanno fino a quando l'inferno non si congelerà.
Dunque, quale delle due è l'ipotesi corretta?
Se accettiamo il postulato comunicatomi dalla signorina Teresa Baghini durante il mio primo anno all'università, secondo il quale "farà molto freddo all'inferno prima che io te la dia", e considerando che ancora non ho avuto successo nel tentativo di avere una relazione sessuale con lei, allora l'ipotesi 2) non può essere vera. Quindi l'inferno è esotermico."

Lo studente ha preso l'unico 30.

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